venerdì 29 marzo 2024
17.11.2011 - VALERIO GAMBACORTA

La via spagnola per l’accesso alla professione forense

Scappatoia o mezzo per aggirare i limiti di un sistema viziato?

Grosso clamore ha suscitato nella città di confine la notizia delle indagini della Procura di Imperia a carico del legale ventimigliese Enrico Amalberti; il quale avrebbe fatto “abuso della professione forense” nella sua quotidiana frequentazione delle aule giudiziarie del ponente.

L’abuso sarebbe legato al possesso di un titolo, nei fatti, non riconosciuto in Italia. Quello di “Abogado”.

E’ opportuno fare chiarezza.

Circa due anni fa un’ordinanza della Comunità europea ha posto il veto ai “certificati abilitativi professionali” conseguiti con disinvoltura nell’ambito dei paesi della Comunità europea e poi spesi (a livello professionale) in stati diversi rispetto a quelli in cui erano stati conseguiti.

Concentrandosi sull’Italia e soprattutto sulla professione forense, occorre dire, però, come vi siano vizi ed incongruenze a carico del sistema finalizzato al rilascio delle abilitazioni all’esercizio della professione.

Dopo due anni di praticantato, infatti, l’esame di abilitazione va sostenuto presso strutture collocate nello stesso Distretto della Corte d’Appello ove si è svolta la pratica medesima.

Se ho fatto la pratica a Sanremo, pertanto, dovrò dare l’esame a Genova.

Occorre però sottolineare due punti molto importanti:

1)     fino al 2003 il sistema era “open”, ovvero se facevo la pratica in Liguria potevo, tranquillamente, dare l’esame anche a Reggio Calabria (in molti legittimamente lo hanno fatto).

2)     Ora come ora il sistema rimane, comunque, sperequato. Non si spiega, infatti, come Genova abbia percentuali di promozioni annuali che si aggirano attorno al 30% mentre realtà centro – meridionali (e non è un discorso campanilistico ma un dato di fatto) abbiano percentuali oscillanti intorno al 50­ – 60%.

Ciò ha portato molti ragazzi italiani (e anche il dottor Enrico Amalberti) a tentare l’avventura spagnola, dove si è “abogadi” dopo la laurea in Legge (nella convinzione che sia poi il mercato a fare selezione).

Questo perché fino a due anni fa ciò, come dicevamo all’inizio, era ancora possibile.

Che il Dottor Amalberti possa avere compiuto delle leggerezze nella spendita del titolo potrà essere vero (occorre dire che, dopo il titolo di “abogado”, rientrati in Italia, occorreva restare in una sorta di purgatorio come “Avvocato stabilito” potendo esercitare sotto l’ala protettiva di un “dominus” per circa tre anni) e la magistratura sarà lì, eventualmente, a dimostrarlo; rimane, però, la netta sensazione che, l’attuale via italiana all’esercizio della professione soffra di storture, non ultima e, soprattutto, quella legata alle ridicole percentuali di promozioni di alcune sedi (Brescia, due anni fa, attestata intorno al 20%) che senz’altro tarpano le ali a tanti giovani “capaci” rimettendo l’alea della promozione o della bocciatura in mano quasi esclusivamente alla fortuna (l’estrazione di una Corte d’Appello benevola).

 

 

 


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